Viaggio del 6-8 Gennaio 1996

Resoconto del viaggio del 6-8 Gennaio 1996 (Dalmazia - Knin)

Questa volta siamo un esercito, 32 persone (a cui si aggiungeranno Fadila e Maja, le due interpreti), 3 camion e 6 furgoni. Molti vengono per la prima volta, e i problemi organizzativi non mancheranno.

Dopo la traversata ci aspetta una lunga mattina alla dogana a Spalato. Alle 10:30 le pratiche doganali sono sbrigate, ma non ci lasciano ancora uscire, possiamo metterci in marcia solo alle 11 passate. Al bar del porto un cartello invita ad arruolarsi: e' una foto di un crocifisso di strada, a cui qualcuno ha messo in braccio una bandiera croata.

Dopo aver lasciato i pacchi alle famiglie esterne a Krilo, si va diretti a Podaca. Arriviamo alle 2, cominiciamo subito la distribuzione. Parecchi profughi sono andati via, probabilmente verso le zone "liberate" da ripopolare, e riusciamo a dare un pacco famiglia a tutte le persone in lista di attesa. La lista pero' si e' allungata, restano ancora fuori una ventina di famiglie.

Finiamo alle 9 e mezza, poi si va all'hotel Ruskamen, dove dormiremo. Questa volta si dorme di lusso, rispetto al solito sacco a pelo, camere da 2 con letti e lenzuola per 15.000 lire a testa. A mezzanotte e mezza un briefing per decidere come organizzare la giornata successiva. I camion restano a Spalato, sono lenti e non c'e' molto da trasportare. A Knin vanno 4 furgoni, e 24 persone, due furgoni restano per fare il giro dei campi attorno a Spalato, e visitare il cementificio e l'orfanotrofio. All'una e mezza finalmente a letto.

Domenica ci si alza alle 7, ma alle 8, per una serie di disguidi, i guidatori dei furgoni che vanno a Knin non sono ancora svegli. Li si sveglia di corsa, e si comincia a smistare il materiale tra i furgoni. Dopo la partenza facciamo un rapido inventario. Abbiamo circa 80 coperte, 40 giacche, una trentina di maglioni, 60 pacchi famiglia, due scatoloni di giochi e un po' di dolci. Contiamo di distribuirne circa la meta', e lasciare il resto a Carlo e Vilmo, che resteranno per una settimana per fare un lavoro piu' accurato di censimento, e per vedere se e' fattibile organizzare un progetto di aiuto regolare e un campo di lavoro per quest'estate.

La strada per Knin e' sgombra dalla neve, e' anche relativamente caldo, ma piove che Dio la manda. A 60 Km da Knin si cominciano a vedere le case distutte. Qui sono ancora poche, e sembrano tutte disabitate. Andando avanti, la proporzione di case distrutte aumenta. Poco prima di Vrlika, a 40 Km da Knin, troviamo le prime case abitate. Stanno ricostruendo, chiediamo se c'e' qualcuno che ha bisogno li' vicino. Ci indicano una casa ad un centinaio di metri dalla strada, ci abita una signora anziana da sola. Proseguendo la situazione peggiora. Da una casa ridotta ad uno scheletro vediamo uscire fumo. Un'altra signora anziana, vive nell'unica stanza agibile, con plastica trasparente alla finestra, una cucina economica tutta ruggine che affumica la stanza, manca il tubo che la collega alla canna fumaria.

Oramai tutte le case sono state bruciate, con sistematicita'. I muri interni sono anneriti, l'ovale nero attorno ad ogni finestra testimonia che chi se ne e' occupato ha fatto le cose con cura, senza lasciare nulla al caso. Una distruzione metodica, scientifica. Di ogni casa restano solo i muri anneriti, magari con qualche scritta inneggiante all'una o l'altra fazione. Il governo croato le ha censite tutte, c'e' un numero scritto in calce su ogniuna. Qualche casa, soprattutto lungo la strada, comincia ad avere la corrente elettrica, ma comunque gli impianti all'interno sono stati distrutti dal fuoco.

Una frazione su un lato della strada e' un agglomerato di case senza tetto. La chiesa, su un colle, e' stata minata, e ne restano le colonne e una parte dell'abside, con una croce che sovrasta spettrale le case distrutte. Unico cenno di colore le bandiere croate, che sventolano dappertutto, e le giacche militari, qui molto di moda, stese ad asciugare (o a lavare, vista la pioggia). Ci vivono diverse persone, e un gregge di pecore. Ci fanno vedere un agnellino appena nato. Una signora vive in quella che doveva essere una cantina, unico locale rimasto di una casa praticamente rasa al suolo. Ci offre una grappa, scusandosi del bicchiere (l'unico che ha). Il bicchiere in realta' e' enorme, sbaglio a valutare le misure e resto steso per la mezz'ora successiva.

Arriviamo a Kijevo, l'ultimo paese, a 20 Km da Knin. Qui il mese scorso abbiamo trovato la maggior parte degli anziani a cui abbiamo lasciato i pacchi famiglia. Andiamo con un furgone in una frazione un po' in parte, gli altri aspettano. Ci sono molti bambini, non sappiamo se perche' di domenica molta gente torna li', a trovare i parenti rimasti o a vedere di fare qualcosa per le case distrutte. Distribuiamo anche dei giochi, oltre alle solite giacche, coperte, e pacchi famiglia. Diventa molto difficile distinguere tra chi ha bisogno e chi no, Carlo e Vilmo dovranno tornare in settimana, per vedere la situazione fuori dall' "effetto week end". In alcuni casi e' maledettamente semplice, un signore arrive per chiedere un giaccone, il suo, ormai di un colore indefinibile, cade a pezzi. Ma nella mezz'ora che stanno ad aspettarci, gli altri furgoni sono circondati di gente che chiede coperte e giacche. Prendiamo il nome di tutti quelli a cui diamo qualcosa, per fare dei riscontri con i nomi che raccoglieranno Carlo e Vilmo.

Troviamo un telefono pubblico, e' li' da poco, il cavo corre per terra accanto alla strada. Telefoniamo a casa, ma l'apparecchio blu squillante su una casa che e' poco piu' di un tizzone annerito da' una sensazione di irreale. Stessa sensazione di un'altra telefonata, 19 anni fa, nel terremoto del 76 in Friuli (sono friulano). Anche li' le case distrutte, la gente in sistemazioni di fortuna. Ma li' si vedeva il caso all'opera, qui il metodo testimonia che la colpa e' di qualcuno.

Alle due smettiamo di distribuire. Abbiamo dato via circa meta' del materiale che avevamo, e si sta facendo tardi. A Knin ci ospita la famiglia di Slavica, che conoscevamo da quando erano al campo di Mimice. Ora stanno in una casa tra quelle abbandonate dai profughi serbi e requisite dal governo croato. Lasciamo una decina di pacchi famiglia per gli altri profughi venuti dal campo di Mimice.

Nel viaggio di ritorno, dopo il tramonto, diventa piu' facile individuare quali case sono abitate, per la luce che filtra dai teli di plastica.

Arriviamo a Spalato alle 6. Il mare e' mosso, e cerchiamo di mangiare presto, quando la nave e' ancora in porto. Fortunatamente nessuno soffrira' il mal di mare.

Torna alla pagina principale A cura di Gianni Comoretto (E-mail comore@arcetri.astro.it).